Massimo Montanari, Francesco de Benedittis – “La Borraccia delle Parole”, Edizioni dei Cammini 2015
È uscito in libreria il bellissimo libro di Massimo Montanari La Borraccia delle Parole, per Edizioni dei Cammini. È il libro ideale da regalare a Natale a bambini che volete coinvolgere nelle vostre camminate, ma è così bello che anche gli adulti lo apprezzeranno. I disegni di Francesco De Benedittis, innanzitutto: sono un perfetto corredo alle filastrocche di Montanari, e seguono i bambini nelle loro avventure, accompagnati dalla presenza discreta di tanti animaletti del bosco (volpe, insetti, marmotta, gufi, bruchi, cinghialetti…). Camminare al buio, dormire in tenda, camminare sotto la pioggia, il cammino è pieno di sorprese e di magia, grazie alle parole di Montanari.
Ma ecco come Montanari stesso spiega il libro:
Questo libro di storielle
o di rime in compagnia,
è un invito camminante
a trovar la sintonia.Parole che son fatte
di passi e di momenti
che trattan del cammino
tutti gli ingredienti.Descrivono emozioni,
quelle più importanti
ogni passo è una parola
quando i passi sono tanti.Qui racconto filastrocche
che a mio avviso son sincere,
come lo son le antiche vie,
o le vecchie mulattiere.Quando è finita la lettura
camminiamo tutti quanti?
Si viaggia proprio bene
quando i passi son parlanti!
E le filastrocche toccano tutti i temi importanti di un cammino: gli scarponi saltapssi, lo zaino senza fondo, la giacca acchiappatutto, la carta mappamondo, la torcia lunapiena, la bussola giramondo, il bastone aiutagamba, la borraccia millegocce, il cappello scacciasole, il sacco chiocciolina, la tenda tutta tana, il materassino bolladaria, il coltello millelame, le calze puzzolenti, la salita che sudezza, la maglietta unta e sudata, il riposo riposante, la compagnia camminante, lentezza che godezza, insomma tutte le filastrocche del buon camminatore, per far divertire i vostri bambini (un consiglio: portate il libro in cammino, e quando sono stanchi leggete qualche filastrocca, la stanchezza passerà subito!).
Edward Abbey – “Desert solitaire. Una stagione nella natura selvaggia”, Baldini&Castoldi 2015
Il libro di cui vi parlo è una scoperta incredibile, uno di quei libri che spesso passano inosservati, perché non hanno santi in paradiso. Anche se negli Stati Uniti questo libro ha fatto epoca, da quando uscì, nel 1968. Onore dunque a Baldini&Castoldi, che lo ha ripubblicato quest’anno, con un’ottima traduzione di Stefano Travagli.
Libro che si inserisce di diritto nella tradizione di Henry David Thoreau, Walt Whitman, Mary Hunter Austin, con in più un’ironia fantastica (si ride dei nostri mali del secolo leggendo il libro) e una vena polemica degna dei migliori rivoluzionari.
Edward Abbey (1927-1989) ha vissuto per sei mesi da solo nel ruolo di ranger, nel 1956, in una roulotte nell’Arches National Monument, un territorio desertico dello Utah. Desert solitaire è stato pubblicato nel 1968 ma l’azione del libro si svolge quando l’autore aveva 29 anni e questi territori erano ancora incontaminati. Un inno alla protezione della wilderness, ma anche molto di più. Contiene poetiche descrizioni dei parchi dello Utah e dell’Arizona, quali Arches, Canyonland, Canyon degli Havasupai, e dell’arido territorio dei Navajo. Descrizioni dell’abbondante flora e fauna del deserto. Libro come non se ne scrivono più, letteratura di qualità (Abbey è uomo molto colto) ma anche pamphlet politico di chi vede il mondo naturale distruggersi sotto i suoi piedi.
In conclusione Abbey disegna il suo manifesto, leggiamo insieme questo stralcio:
“Cosa posso dire a queste persone? Sigillate nei loro gusci di metallo come molluschi con le ruote, come posso liberarle? L’auto una scatoletta di metallo, il ranger il suo apriscatole. Uscite da lì, per l’amor di Dio, vorrei dire. Toglietevi quegli occhiali da sole del cazzo, spalancate gli occhi, guardatevi in giro; buttate via quelle stupide macchine fotografiche! (…) Gesù, signora, tiri giù quel finestrino! Il deserto lo si capisce solo se lo si annusa! La polvere? Certo che c’è la polvere, siamo nello Utah! Ma è polvere buona, ottima polvere rossa dello Utah, ricca di uranio e di ironia. Spegnete il motore. (…) E tu, sì, tu con la mappa spalancata davanti, il radiatore che bolle e il motore surriscaldato, striscia fuori da quel bozzolo brillante di lamiera e vai a farti una passeggiata! Sì, ti sto dicendo di mollare la vecchia e i mocciosi urlanti per un po’, di voltare loro la schiena e andare a fare una lunga, tranquilla passeggiata nei canyon, di perderti e di tornare solo quando ti va, cazzo. Farà benissimo, a te, a lei, a tutti quanti. Dai tregua ai bambini, lasciali uscire dalla macchina, lasciali correre sulle rocce a caccia di serpenti a sonagli, scorpioni e formicai… Sì, esatto, liberali. Come osi imprigionare dei bambini nel tuo maledetto carro funebre imbottito? Vi imploro di uscire da quelle sedie a rotelle a motore, di staccarvi dagli schienali di gommapiuma e alzarvi in piedi. Siete uomini! Siete donne! Siete esseri umani! E camminate – camminate – CAMMINATE sulla nostra dolce terra benedetta!”
Riccardo Carnovalini, Anna Rastello – “PasParTu. A piedi senza meta nell’Italia che si fida”, Edizioni dei Cammini 2015
Riccardo Carnovalini ha fatto la storia del camminare in Italia, ha attraversato l’Italia camminando varie volte, dal 1981 a oggi. È stato un precursore, e ha continuato in questa sua passione, con creatività. L’ultimo suo cammino, studiato e percorso insieme ad Anna Rastello, è stato Paspartu, da cui è nato un libro uscito per le Edizioni dei Cammini.
“È stato un viaggio a piedi senza meta”, spiegano Anna e Riccardo, “alla ricerca dell’Italia che si fida ed è curiosa e ospitale, una ricerca fatta con i piedi per dimostrare che c’è ancora chi sa aprire la porta di casa agli sconosciuti, dando fiducia a chi giunge all’improvviso a scompigliare il tran tran quotidiano”. Un argomento di stretta attualità in questi giorni di biblici esodi verso un’Europa non sempre ospitale, sicuramente una metafora dei tempi in cui viviamo.
Per leggere una interessante recensione del libro andare qui: A piedi nell’Italia che si fida (e ti ospita). Nel cammino senza meta di Riccardo e Anna una metafora dei nostri tempi
Fiorenzo Degasperi – “San Romedio. Una via sacra attraverso il Tirolo storico”, Curcu & Genovese 2015
Fiorenzo Degasperi si dedica con passione alla scoperta del suo territorio, il Trentino e l’Alto Adige, scrivendo sui giornali e pubblicando libri per camminatori curiosi di storia, arte e racconti. Nel 2015 ha pubblicato per Curcu & Genovese San Romedio. Una via sacra attraverso il Tirolo storico. Non è una guida vera e propria, è piuttosto un libro colto e documentato, pieno di suggestioni per costruirsi itinerari, ognuno può pensare alla propria via sacra.
Si parte da un pellegrinaggio famoso, quello fatto 200 anni fa (1809) da Andreas Hofer insieme a 600 Schützen, a Sanzeno e al Santuario di San Romedio, da lui assunto al ruolo di difensore e protettore dei combattenti tirolesi. San Romedio, o Sankt Romedius, di cui non si sa il secolo di vita, e che nell’iconografia popolare è sempre raffigurato con un orso al guinzaglio.
E si segue il cammino che lo stesso San Romedio pare abbia fatto, da Thaur, nei pressi di Insbruck, attraverso il Tirolo, fino a Trento, per poi ritirarsi in Val di Non. Il percorso da Thaur a Trento seguendo le orme di San Romedio è un cammino ideale, pensato in 12 giorni e 180 km, una via romantica e spirituale di cui è stato pubblicato un libretto in tedesco. Questo cammino si intreccia anche con una via romea, un cammino verso Roma che tanti vescovi percorrevano, e forse anche San Romedio.
Dopo aver ripercorso i cammini del santo, si racconta della fondazione e della costruzione del suo santuario, anch’esso meritevole di una viandanza.
Una storia piena di suggestioni, corredata da belle foto, che racconta storie di dei, di eremiti e di homeni selvadeghi, ideale per costruirsi il proprio cammino.
John Muir – “Mille miglia in cammino fino al Golfo del Messico”, Edizioni dei Cammini 2015
John Muir è uno dei padri dell’idea di salvaguardia della natura. È anche grazie a lui se negli Stati Uniti prima, nel resto del mondo poi, sono nati i Parchi Nazionali. Far diventare Yosemite un parco protetto fu opera sua.
Nato in Scozia nel 1838, si trasferì bambino negli Stati Uniti, di cui amò la natura e ne scrisse libri letti da milioni di americani. Ha fondato la prima associazione ambientalista-escursionistica della storia, il Sierra Club, che già nell’Ottocento organizzava campi nella natura selvaggia in tenda. A 28 anni si mise in cammino da Indianapolis per camminare vari mesi e attraversare vari stati americani, fino ad arrivare in Florida e poi sul Golfo del Messico, camminando mille miglia, cioè circa 1600 chilometri. Dal suo diario è stato pubblicato un libro, che per la prima volta appare in italiano, una vera chicca per gli appassionati (anche grazie all’ottima traduzione di Francesca Frulla).
Il giovane Muir cammina e osserva, osserva la natura con ammirazione, con amore, ne sente la forte sacralità. Le palme della Florida lo colpiscono: “Ci dicono che le piante sono esseri viventi mortali e senz’anima, che soltanto l’uomo è immortale; eppure sono convinto che sull’argomento non sappiamo quasi niente. A ogni modo la palma era di una bellezza indescrivibile e mi ha svelato segreti più profondi di quelli che io abbia mai ascoltato da un uomo di chiesa”.
Il viaggio di John Muir fu davvero avventuroso, si trovò varie volte con pochissimo cibo, e dormì molto spesso all’aperto, trovando con fatica posti dove dormire rialzati rispetto alle paludi o protetti dal rischio dei banditi.
Quando viene convinto da un capitano e un ex giudice a unirsi a loro nella caccia al cervo, partecipa, ma si guarda bene dallo sparare, anzi contesta la teoria allora in voga che gli altri animali sono stati creati da Dio come cibo e come svago per gli uomini, se così fosse – dice – allora anche l’orso potrebbe dire lo stesso dell’uomo, creato da Dio come cibo per lui. Poi riflette: “io ho davvero poca simpatia per il senso egoistico di possesso dell’uomo civilizzato, e se dovesse scoppiare una guerra tra gli animali selvatici e l’uomo padrone, sarei tentato di prendere la parte degli orsi”.
Arrivato al golfo del Messico, Muir non riesce a godersi quei luoghi perché viene colpito da febbri malariche, e rimane a letto malato per mesi, fortunatamente curato da una famiglia molto ospitale. Ripresosi, decide di imbarcarsi per Cuba, dove rimane un mese ma ancora il suo stato di salute è incerto, quindi invece di proseguire verso Sud, come sperava, si imbarca su una barca piccola e veloce, carica di arance sia in stiva che sul ponte e torna a New York, poi California, per finire a Yosemite, il suo amore di una vita.
Bel libro, racconto di un cammino di centocinquanta anni fa, un precursore, maestro di tutti noi nell’arte del diventare tutt’uno con la Natura.
Franco Michieli – “La vocazione di perdersi”, Ediciclo 2015
Franco Michieli accompagna cammini per la nostra Compagnia, con lo stile che lo ha reso unico: insegnando a perdersi. Da 20 anni Michieli ha elaborato una filosofia dell’andare in montagna, basata sul valore di non usare strumenti come mappe, bussole, gps, orologi, per ritrovare quello spirito interiore atavico di orientamento, fatto di intuizioni e di capacità di lettura del paesaggio, del sole, degli astri, ecc. Se ci appoggiamo sempre a mappe e strumenti elettronici, non guardiamo con attenzione la realtà, questo Michieli lo imparò da giovane, quando a venti anni con un amico attraversò la Sardegna a piedi da costa a costa, seguendo una descrizione imprecisa tratta da una nota rivista. Dopo essersi persi varie volte, furono costretti a osservare il paesaggio fatto di valli parallele, dorsali, e trovando una geometria in un andamento apparentemente casuale. Da quel momento Michieli ha affinato la tecnica, ha attraversato le grandi tundre nordiche, e anche la Lapponia, con questo stile.
Ora in questo libretto pubblicato da Ediciclo costruisce un piccolo saggio su come le vie trovano i viandanti, su come perdersi, sul piacere di perdersi per imparare, metafora anche della vita e della crescita personale. E lo fa con un racconto leggero, fatto di considerazioni profonde alternate a racconti di esperienze vissute, come quella in Sardegna o quella di quando in Lapponia dovevano trovare un villaggio dopo giorni e giorni di cammino fuori sentiero nel grande vuoto, e alla fine come per magia il villaggio era proprio lì, dietro una collina, nella notte con tutte le luci illuminate, quasi ci fosse una capacità sconosciuta a guidare gli uomini verso la loro meta. La nostra società ci ha trasmesso la paura di perderci, e ci riempie di strumenti per evitare anche il minimo spaesamento, Franco Michieli invece ci insegna che in cammino come nella vita perdersi è l’unico modo vero per crescere, per imparare, perché la natura vera, non addomesticata, come la vita vera, piena di imprevisti, sono la strada che i viandanti come noi devono percorrere. Come disse Robert Frost, “due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta ed è per questo che sono diverso”.
Alcide Pierantozzi – “Tutte le strade portano a noi. A piedi da Milano a Bari”, Laterza 2015
Alcide Pierantozzi è un giovane scrittore emergente, che sinceramente non conoscevo.
Dalle foto sul web appare un uomo che tiene molto al suo look, e dal testo si capisce che appartiene alla Milano intellettuale, ha studiato filosofia teoretica e contemporaneamente ama i vestiti firmati e frequentare attori, cantanti e figli di attori famosi; anche se le sue origini, natali e letterarie, stanno tutte nella vita contadina dei nonni abruzzesi. Il su libro è l’ennesimo cammino in cui un non camminatore si misura con una esperienza per lui strana, andare a piedi da Milano a Bari lungo la Francigena. Con avventure e disavventure del caso. Pierantozzi scrive con ironia e sarcasmo, mischia realtà e finzione, racconta insieme al suo cammino la vita dei nonni e della sua infanzia in Abruzzo, crea poesia sulla vita rurale, gioca con gli strafalcioni di italiano della nonna.
Sul cammino non leggerete che Pierantozzi ha avuto una illuminazione spirituale, è un viaggio profano e dissacrante il suo, ma il cammino lo ha colpito, Alcide (o Arcito, come lo chiamava la nonna) arriva alla fine del suo cammino, e ci arriva cambiato, toccato.
Anche se a metà del cammino con grande sincerità scrive: “Elena mi dice che un osso del mio ginocchio sporge un po’ all’infuori e io ne rimango sconcertato. E comunque, se l’affinità tra noi due è evidente nell’ossessione per il fisico, non c’è nessuna comunanza di percezione rispetto all’ambiente. Elena è voluttuosamente rapita dal paesaggio; io, invece, non provo nulla. Ogni tot di chilometri siedo su un masso, bevendo acqua di cocco all’ananas e grattandomi la testa. Un profumo di menta selvatica fluttua su di me, scricchiolii misteriosi fluttuano lungo le rocce e dovrebbero farmi sentire perfettamente a mio agio, come una nota musicale persa e appena rientrata nello spartito. Ma va’, non scatta nulla. Mi spremo l’anima e non sento nulla.”
Durante il cammino Arcito ci diverte giocando sulle contraddizioni della via Francigena, un cammino che è rinato tentando di dar vita a una accoglienza e a cerimonie che realmente non le appartengono più da secoli. Ecco il divertente episodio della lavanda dei piedi, Pierantozzi non ci dice realmente dove è avvenuto, si inventa il nome di un rifugio e di una confraternita inesitenti:
“Non appena arriviamo una signora timorata di Dio si profonde in saluti cerimoniosi, quindi ci dice di toglierci le scarpe mentre versa da una brocca una gran quantità d’acqua benedetta dentro una bacinella – di plastica azzurra come quella usata da mia nonna per fare il bagno al cane. Romina retrocede nell’istante stesso in cui la donna immerge una mano nell’acqua per saggiarne la temperatura. “Io nun me la sento di famme lavà i pedi”, farfuglia sottovoce.
“Men che mai io!”, esplode a gran voce Elena. Guarda tu che strano. A questo punto informa la signora che abbiamo anche una macchina di scorta, con i bagagli dentro. Al che quella tira la mano fuori dall’acqua e, fremendo d’indignazione, ci guarda con aria disgustata. “Noi non ospitiamo i camminatori senza carico sulle spalle”, risponde gelida, “è poco rispettoso per chi crede davvero nello spirito del pellegrinaggio”.
Lettura consigliata a chi ama i giovani scrittori trentenni emergenti e vuole proprio vedere cosa succede a uno di loro se si mette in cammino, quali emozioni gli tira fuori, e per divertirsi con le contraddizioni della Francigena.
Massimo Conti – “Il mare non ti parlerà”, Aras Edizioni 2015
Ci sono camminatori che amano i sentieri già tracciati, ci sono camminatori che amano inventarsi i propri. Massimo Conti appartiene alla seconda. Nel 2011 ha pubblicato (lo abbiamo recensito anche noi) Traversine. 50 km a piedi da Fano a Urbino lungo la ferrovia Metaurense. Era partito da casa a piedi, seguendo i binari di una ferrovia dismessa. Raccontando luoghi poco turistici, dimenticati, persone senza nome.
Conti ha ripetuto l’esperienza, camminando per nove giorni lungo la costa marchigiana dal San Bartolo alla Sentina attraverso il Conero. I suoi cammini ci insegnano che il valore della viandanza non sta nel visitare posti belli o pittoreschi, ma nel vedere la realtà da vicino, con le sue brutture e le sue contraddizioni. Se lungo la ferrovia erano orti abusivi e baracche, qui sono più di cento chilometri di costa profanata, seviziata, grandi raffinerie, abusivismi piccoli e grandi (simpatica e italiota la storia dell’abusivissimo Villaggio Bianco vicino alla raffineria API di Falconara, nato da un gruppo di persone che negli anni ’70 volevano la casetta sul mare ma non avevano soldi, Conti se la fa raccontare da uno di questi abusivi incontrato per caso: sono anni che le ruspe dovrebbero demolire tutto, ma poi si trova sempre un accordo…). Ma c’è anche la natura, in particolare il Conero, dove Massimo incontra un giovane canadese selvatico che lo fa dormire a strapiombo sulla falesia. E gli incontri si susseguono agli incontri, dal gruppo che fa rock balancing, mette i sassi in equilibrio, all’omone che ha attraversato l’adriatico in moscone, al milanese che gestisce una strampalata lavanderia. Massimo Conti ha studiato sociologia, e cerca di darci attraverso i suoi cammini uno spaccato della sua regione, e dell’Italia intera. Evitando il giudizio, la retorica moralista, ma semplicemente vivendo passo dopo passo e raccontando. Dormendo dove capita, chiedendo aiuto alla Caritas o alle suore (e trovando molte porte chiuse).
Mi auguro che tanti altri seguano il suo esempio, raccontare i luoghi con atti di viandanza ribelle e creativa.
Nicolò Bassetti, Sapo Matteucci – “Sacro Romano Gra”, Quodlibet Humboldt 2013
Uscito più di un anno fa, recensiamo questo libro con ritardo, ma non potevamo non parlarvene, perché merita. Nel 2010 era uscito Tangenziali. Due viandanti ai bordi della città di Gianni Biondillo e Michele Monina, e l’idea era quella di percorrere a piedi il territorio ai confini con le tangenziali di Milano. Questa è la stessa idea, con il Grande Raccordo Anulare di Roma. Non è un lungo cammino, ma sono visite successive, con tutti i mezzi possibili, auto, moto, mezzi pubblici, ma soprattutto a piedi. Sicuramente avrete sentito parlare, e probabilmente avrete visto il film, che ha vinto a Venezia. Il libro è ricco di storie e di incontri, ed è scritto in modo piacevole, la lettura scorre bene, tra borgate improbabili, quartieri dormitorio, aggregati urbani cresciuti in modo incontrollato, alcuni nati dall’abusivismo, altri dalla cementificazione successiva. Nomi come Laurentino 38, la discarica di Malagrotta, Massimina, Nuovo Corviale, l’isola dei lampadari… Ma oltre al cemento c’è la campagna, aziende agricole dentro il raccordo, luoghi magici che nessuno si aspetterebbe vicino alla grande striscia di asfalto su cui scorrono senza sosta automobili e camion, la foce del Tevere e i fiumaroli, il Casale del Marmo, la tenuta Valchetta-Cartoni, l’Insugherata.
Il camminare è anche questo, consente di scoprire la natura selvaggia e incontaminata, ma anche di scoprire con occhio nuovo quelli che solo apparentemente sembrano non-luoghi, e che invece visti da vicino, al ritmo lento di 4 km all’ora sono oasi, isole, storie, e persone. Bassetti è un paesaggista e si dedica professionalmente al recupero di aree dismesse, e quindi sa leggere e raccontare con occhio attento questo paesaggio post urbano e pre urbano insieme. Anche senza conoscere Roma e i luoghi raccontati, il libro fa riflettere e fa venir voglia di vederle queste borgate e queste periferie, camminandoci dentro.
Luca Gianotti – “La spirale della memoria”, Edizioni dei cammini 2015
Marcella Terrusi, docente di Letteratura all’Università di Bologna, ha scritto qualche libero pensiero dopo la lettura del nuovo libro di Luca:
La prosa di Luca Gianotti ha il ritmo umano e cadenzato dei passi in cammino: la prosa ha la forma insieme intima e rigorosa di una lettera, perché il racconto si rivolge alla seconda persona del protagonista, come a verificare ad ogni periodo, con attenzione, l’appoggio del piede, l’energia della spinta, il rigore della parola scritta.
La voce dell’autore dialoga con altre voci, accoglie passi di altre scritture, che si muovono nello spazio della storia, della letteratura, del giornalismo: voci che sono giustapposte con grazia, ad offrire un affresco del discorso complessivo dedicato al terremoto della Marsica, elaborato in 100 anni di storia, e vasto come tutti i chilometri che uniscono questo luogo, fra nord e sud, nella parte remota della coscienza di un paese, con il New York Times, con altri eventi sismici ed altri racconti umani, intellettuali come Wu Ming 2 e Ignazio Silone, le domande incessanti degli uomini sul loro essere animali, sul loro essere umani, sul loro essere in movimento, sul loro fronteggiare la paura della crisi che tutto stravolge, in trenta secondi, che sia il terremoto o la paura, il terremoto del cuore. È il presente ad essere raccontato, ad ampio giro, come il periplo a spirale del viaggio, che unisce in 15 giorni di cammino i luoghi storici colpiti dal terremoto del 1915 in Abruzzo.
Questo ritmo dinamico che unisce ieri e domani, adesso e mai più, è quello di un camminatore scrittore, capace di vivere un presente narrativo che dà corpo ad un racconto coerente, con andatura costante, gradevole, garbatamente ribelle, tenacemente spinto dal desiderio di capire, di conoscere, di ricostruire senza semplificazioni, di ricordare senza pietismi, di andare avanti con la consapevolezza che anche l’identità è un elemento in divenire, oggetto e soggetto di conquista. Le risorse del binomio fra cultura e cammino a piedi, sono fuse nell’esperienza raccontata, che è di unità fra intelletto, cuore e corpo e che offre un modello possibile di recupero di una misura umana del proprio andare. Una misura umana che gioca con le storie, non teme i lupi perché della natura si fida, come dice Gianotti, ma passeggia fra lupi insieme archetipici, autentici e cinematografici perché sa che l’orizzonte del paesaggio umano è questo insieme di memoria, sogno e presente che l’immaginario collettivo nella letteratura riesce a tracciare, nei percorsi delle parole, invitando ad altri cammini aperti, ad altri passi.
Lo sguardo di Gianotti, che cammina rispettosamente in un territorio, quello abruzzese, che non è il suo, si giova di questa estraneità, e mi ricorda la modalità dello “straniero partecipante”, definizione che Lapassade utilizza nel suo Mito dell’adulto, come modalità di uno sguardo obliquo capace di cogliere visioni non rese opache dall’abitudine. E se “adultus” significa etimologicamente terminato, finito, allora il cammino di Gianotti, la cultura del cammino, contiene una cifra rivoluzionaria che si offre come risorsa per la vera e propria urgenza pedagogica di una “riconnessione”, uno dei temi centrali della riflessione sull’immaginario dell’esperienza e della crescita all’aperto, outdoor education. L’orizzonte vasto del camminatore e del narratore sono inviti ad alzare lo sguardo dai tablet e dai computer e accettare la costitutiva incompiutezza dell’uomo per viverla nella sua pienezza, in ascolto dell’anima mundi per recuperare le connessioni fra voci, persone, storie, luoghi, memorie, sorrisi, desideri e sogni indispensabili per costruire il domani.
Wu Ming 2 (a cura di) – “La Via del Sentiero. Antologia per camminatori”, Edizioni dei cammini 2015
L’oggetto che recensisco oggi è un libro con CD allegato, o un CD con libro allegato? La domanda non è oziosa come sembra. Sebbene sulla copertina si dichiari la prima, sono propenso per la seconda, oggetto uditivo con prolungamento letterario. Intanto perché è nato così, e io – che ho seguito il progetto da vicino -, ho il privilegio di saperlo. È nato per primo uno spettacolo, proposto da Wu Ming 2 al Festival del camminare di Bolzano, spettacolo che ha avuto degno successo in una sera di maggio del 2014. Per quello spettacolo, Wu Ming 2 aveva selezionato a sua discrezione nove brani scelti dall’antologia inglese A Footpath Way del 1911, e li aveva tradotti personalmente. Poi il libro, riprendendo e recependo quei brani, con l’aiuto della traduzione di Francesca Frulla, ha completato l’opera. Ma non è solo questo. Altre ragioni mi inducono a ritenere l’opera un unicum uditivo-letterario, per cui, se posso dare un consiglio al camminatore, è di ascoltare prima il CD, e di farlo seguendo sul libro i testi recitati da Wu Ming 2, così come si fa quando si ascolta un disco nuovo sedendosi in poltrona con in mano il booklet inserito nella confezione. Il camminatore consapevole e voglioso di approfondire, troverà tanti spunti di interesse, e gli verrà voglia di spaziare e approfondire, leggendo i testi completi, partendo dagli autori che più lo hanno fatto sentire vicino al proprio modo di intendere la viandanza.
Perché è di questo che si parla, di viandanti ante litteram, dei primi camminatori per svago, scrittori che nel secolo diciannovesimo avevano capito quanto il camminare fosse arte di prima scelta. Colpisce Thomas De Quincey, il fumatore d’oppio, che nel 1821 racconta il piacere di camminare per giorni, e di fermarsi a dormire nelle locande di campagna, ma siccome lui non ha soldi, si è inventato la tenda, la prima tenda di cui si parla nella storia del camminare per svago…; colpisce George Borrow, uno scrittore stravagante, vagabondo e viandante; mantengono le aspettative la bella versione del Canto della strada di Walt Whitman e Camminare di Thoreau; e si scoprono autori ormai dimenticati, come Leslie Stephen (alpinista, era il padre di Virginia Woolf), John Burroughs; infine, sempre puntiglioso e severo Robert Luis Stevenson:
“Non si deve pensare che una viandanza – come alcuni vorrebbero farci credere – sia solo un modo, migliore o peggiore, di vedere un paese. Ci sono molti modi di contemplare il paesaggio, altrettanto buoni; e nessuno è più vivido, a dispetto di tanti noiosi dilettanti, che da un treno sulla ferrovia. Ma il paesaggio, nella viandanza, è abbastanza accessorio. Colui che appartiene a questa confraternita, non viaggia alla ricerca del pittoresco, ma di certi sentimenti piacevoli – la speranza e lo spirito con i quali la marcia comincia al mattino, e la pace e la sazietà spirituale del riposo vespertino. Egli non saprebbe dire se gli dà più diletto mettere lo zaino in spalla oppure toglierlo. L’eccitazione della partenza è la chiave di quella dell’arrivo. Qualunque cosa fa, non è solo un premio in se stessa, ma verrà premiata ulteriormente nel seguito; e così il piacere porta al piacere, in una catena senza fine. È questo quel che così pochi capiscono…”
Nel libro si leggono tanti altri autori che non sono nel CD: tra loro William Wordsworth, Walter Scott, Charles Dickens.
Molti di questi testi sono inediti, altri tradotti ma non facilmente rintracciabili. Nel CD c’è anche un classico, Walking di Thoreau, che era contenuto nell’antologia originale del 1911, ma che volutamente è stato scelto di tenere separato dal libro, verrà pubblicato a parte per dargli il dovuto valore e attenzione.
E siccome è del CD che parliamo, non possiamo non parlare dei Frida X, gruppo che vive nell’ombra underground bolognese, e che da anni ha maturato grande esperienza nell’accompagnare scrittori nei loro reading creativi (oltre a Wu Ming 2 fecero le musiche ai reading di Enrico Brizzi). Fantastici. Sanno essere delicati, non sono primedonne, la musica non vuole toglier spazio al parlato, ma ci sono, e danno al CD la qualità di un oggetto artistico. Non sono più un gruppo solo rock, suonano strumenti strani, dal banjo ai tubi intonati (boomwhackers), dal Theremin allo xilofono fino al fischio. E Wu Ming 2? Sembra l’abbia sempre fatto, di stare sul palco dietro a un microfono. Ah no, mi correggo, in effetti l’ha sempre fatto! Conclusione: qui abbiamo un CD con allegato un libro di 200 pagine, al prezzo di un normale CD (o di un normale libro), cioè 17 euro. E c’è sostanza, dentro.
PS: del consiglio datovi poc’anzi (prima ascoltate il CD) già mi pento, perché il camminatore è spirito libero e ama camminare per libera strada, sono sicuro che molti partiranno dal libro, quindi fate come volete, nobili viandanti, leggete ascoltando o ascoltate leggendo, e scusate la mia impertinenza.
Dave Kunst – “L’uomo che fece il giro del mondo a piedi”, Edizioni dei cammini 2015
Come dice David Le Breton nel suo ultimo libro (Camminare), il mondo del camminare si è evoluto molto in questi ultimi trenta anni, e il camminatore ha guadagnato dignità e una sua cultura specifica. Ecco perché la storia del cammino di Dave Kunst ci dà subito l’idea di qualcosa che appartiene a un passato lontano, sebbene in fondo sia una storia di solo quaranta anni fa. Parliamo di una storia che appartiene agli albori della cultura del camminare contemporanea. Il libro, scritto con l’aiuto di uno scrittore professionista, Clinton Trowbridge, è appassionante, un racconto d’avventura. Quella di Dave Kunst è un’avventura folle, fare il giro del mondo a piedi, e la storia inizia nel momento più tragico di questo cammino, quando in pieno Afghanistan montuoso, in mezzo al nulla, Dave e il fratello John vengono assaltati da banditi che feriscono Dave e uccidono John. Dave si salva perché si finge morto.
Ovviamente il cammino si interrompe, Dave viene curato in ospedale e torna nel Minnesota, la sua patria. Ma non molla, dopo alcuni mesi riparte, e il fratello Pete lo accompagna per un altro anno, l’anno più faticoso dal punto di vista psicologico, perché i due ragazzi non sono preparati per incontrare culture così diverse da quella americana, paesi come Pakistan e India sono per loro un grande rebus, non riescono mai a entrare in contatto profondo con le persone del posto, e questo è motivo del loro profondo malessere. Il cammino infatti fallisce la sua forza se si cammina per andarsene via il più in fretta possibile dai luoghi attraversati. La storia di questo cammino dura quattro anni, tra il 1970 e il 1974, e i Kunst sono un po’ hippies, si pensi all’amore e al sesso vissuti in modo libero rispetto ad oggi, e un po’ americani puri, poco colti e non sempre aperti al mondo, a caccia di Coca Cola anche in India. In Australia tutto si rasserena, e Dave trova l’amore, Jenny, maestra di asilo che ancora adesso è la sua compagna dopo 40 anni. Cammina nel bush australiano sotto il caldo cocente, pensando a Jenny e chiedendosi perché invece di stare con lei stia continuando e portando a termine questa impresa. L’essere ormai uomo di successo, sotto i riflettori, o semplicemente avere introiettato la regola che le cose che si iniziano si devono finire. Infine la chiusura del periplo con ritorno negli Stati Uniti, tra poliziotti buoni che lo raggiungono per portargli panini e acqua, e poliziotti cattivi che lo bloccano armi in pugno o lo bloccano con regole come quella che è vietato camminare sulle strade principali. Ma Dave ormai è una star, e sa che nessuno può più fermarlo, riesce a farsi aprire anche un tunnel di più di tre chilometri, fino al Minnesota. Le foto sono bellissime, anni settanta, colori sbiaditi, polvere, sudore, il cammino quasi sempre su asfalto, un lungo racconto appassionante che ormai è nella storia del camminare. Conclude Kunst: “Se riesci a fare il giro del mondo a piedi, allora sei in grado di fare qualsiasi cosa. E questo vale per ognuno di noi.”
David Le Breton – “Camminare. Elogio dei sentieri e della lentezza”, Edizioni dei Cammini 2015
David Le Breton pubblicò Un mondo a piedi (Feltrinelli) più di dieci anni fa. Quel libro in Italia ebbe un grosso successo, ha ispirato molti camminatori, ha messo in cammino tante persone, perché conteneva approfondimenti letterari, sociali e filosofici che davano al camminare una base più solida culturalmente. Ora, torna con un secondo libro sull’argomento, che mantiene lo stesso stile di scrittura, pieno di citazioni letterarie, e nasce, come dice Le Breton, dagli ulteriori approfondimenti sul camminare che l’autore ha svolto negli anni. E sarà un altro libro importante per noi camminatori consapevoli e attenti. Lo pubblica Edizioni dei Cammini, il nuovo editore che con questo libro si presenta nel miglior modo possibile.
Anche questo nuovo libro affascina il lettore, perché Le Breton con scrittura lieve mostra ai camminatori e ai futuri camminatori il valore polimorfo di questa arte, e lo fa riempiendo il testo di bellissime citazioni colte, di autori molto famosi (Rousseau, Hermann Hesse, Thoreau, Leigh Fermor, Ollivier, Muir), ma anche di autori meno noti per lo meno a noi italiani. I temi di questo nuovo libro sono presto detti, basta sfogliare l’indice: lo statuto del camminare, lentezza, sensorialità, dormire, mangiare, camminatrici, parlare del camminare, illuminazioni, magnetismo, ferite, lunghe camminate, spiritualità, il cammino come rinascita, e altri.
L’analisi di Le Breton parte dal notare il cambiamento in positivo della cultura del camminare, e di come il camminatore abbia acquisito una dignità sociale, scrive: “Lo statuto del camminare è cambiato moltissimo in una trentina d’anni, affidandosi solo al proprio corpo e alla propria volontà, è un anacronismo in un’epoca di velocità, istantaneità, efficienza, rendimento, utilitarismo.” Camminare ai giorni nostri, diceva Lacarrière “non è tornare ai tempi del Neolitico, ma piuttosto essere profeti”.
Facile immaginare che anche questo libro sarà un successo, o almeno noi ce lo auguriamo.
Ecco una bella intervista a David Le Breton, pubblicata su Wise Society
Wu Ming (illustrazioni di Paolo Domeniconi) – “Cantalamappa”, ElectaKids 2015
I Wu Ming hanno scritto un libro per bambini! L’ho comprato al volo, sono i miei scrittori preferiti. Cantalamappa parla di mappe e viaggi, e parla di una coppia bizzarra, i Cantalamappa appunto, due hippies con i lunghi capelli ormai grigi, che conservano un librone con tutte le storie dei viaggi di una vita. Il narratore apre il librone qui e là e si fa raccontare le storie, storie di avventura e di luoghi bizzarri tra il reale e il leggendario. Ho testato il libro sul mio bambino di cinque anni, gli ho letto alcune storie tenendogli sotto gli occhi i bei disegni e le mappe fantastiche che corredano il libro, e devo dire che ha funzionato. Abbiamo letto la storia di Tristan da Cunha, l’isola più scomoda del mondo, un vulcano in mezzo all’oceano Atlantico dove tanti anni orsono naufragò un brigantino italiano, e tre marinai rimasero sull’isola alla ricerca di giacimenti di mercurio mai trovati; abbiamo letto la storia dell’Isola di Pasqua o Rapa Nui, e di queste statue immense che guardano al mare, che racchiudono un segreto terribile, sono uno specchio magico del rapporto tra uomo e territorio; abbiamo letto la incredibile storia delle paperelle di plastica perse in mare dalla nave Ever Laurel nel 1992, e che sono arrivate su tutte le spiagge del mondo, dopo anni e anni, facendosi trascinare dalle correnti. Poi ci sono i vermi della morte del deserto del Gobi, l’isola del tesoro, il monte Scrocchiazeppi, il cinema nel deserto, le repubbliche dell’ex-Rostovja, e altre storie. Storie spesso vere, ma poco importa, sono storie per costruire una mitologia dei tempi nuovi, storie da cui trarre insegnamento e delizia, storie per sovversivi, come dicono loro, storie di ingiustizie, di tragedie, di natura violata, di grandi opere inutili. Il tutto con scrittura leggera, come piace ai bambini.
Il libro è in finale al Premio Andersen 2015, il più importante per la letteratura d’infanzia, i Wu Ming colpiscono ancora (Wu Ming strikes again!).
Ascolta la presentazione di Cantalamappa con Wu Ming 4 a Fahrenheit di Radio 3.
“Wild”, regia di Jean-Marc Vallée, soggetto di Cheryl Strayed, sceneggiatura di Nick Hornby, con Reese Witherspoon e Laura Derna, Stati Uniti 2014
Finalmente mi capita di recensire anche un film. E devo dire che è un film niente male. Consigliato. La sceneggiatura è di uno scrittore del calibro di Nick Hornby, ed è tratta dal libro biografico Wild di Cheryl Strayed (in Italia edito da Piemme). Che sia una storia vera si vede, ed è un pregio del film. Niente voli poco credibili. In questo genere di cose è facile cadere. E invece Nick Hornby ha fatto un buon lavoro, mantenendo equilibrio all’interno di una storia normale, ed eccezionale come tutte le storie, tutte le nostre vite lo sono, normali ed eccezionali. Soprattutto se camminiamo per 3 mesi lungo il Pacific Crest Trail senza aver alcuna esperienza, e arriviamo alla fine, 1600 km da soli. Anche noi in Europa facciamo lo stesso con il Cammino di Santiago. Cheryl ha avuto una vita difficile, come molti di noi. E un giorno decise di mettersi in cammino senza sapere bene perché. Come molti di noi. E il suo cammino è stato un cammino di redenzione e di rinascita. Come è capitato a molti di noi. Quindi perché non guardarsi questo film? Guardatelo, amici miei viandanti, perché guardarsi allo specchio fa bene, ogni tanto. E se non vi riconoscete, almeno riconoscerete le vesciche, sui piedi e nell’anima.
In Italia il film è uscito in aprile 2015.
Autori vari – “Appennino Centrale: parole, storie, ricordi”, Edizioni Il Lupo 2014
La casa editrice Il Lupo è da anni impegnata nella diffusione dell’escursionismo nell’Appennino centrale, soprattutto Lazio e Abruzzo, con pubblicazione di guide e mappe. È formata da un piccolo gruppo di appassionati camminatori, a cominciare dall’amico Carlo Coronati. Il libro Appennino Centrale: parole, storie, ricordi è una antologia di 25 racconti scritti da alpinisti ed escursionisti, racconti quasi sempre di avventure in veste invernale, sui monti Marsicani, Simbruini, Sirente Velino, Maiella, Gran Sasso e Sibillini. Avventure che molto spesso diventano disavventure, ma a lieto fine. Alcune storie sono scritte meglio di altre, ovviamente. Mi hanno colpito il racconto di Piero Lancia sulla sua gestione del Rifugio di Valle Fischia; il racconto di Giorgio Giuia di una caduta in invernale da una cornice, la paura di trovarsi salvo nel baratro; il racconto di Alessandro Saggioro, gestore del Rifugio Sebastiani al Velino, di una esperienza invernale al rifugio con metri di neve e il termometro a -18° dentro il rifugio; il resoconto di Ines Millesimi della sua passione nell’organizzare a Rieti grandi eventi dedicati alla montagna; e il racconto di Alberto Osti Guarrazzi di una escursione al Lago di Pilato, nei Sibillini, con negromanti e presenze misteriose.
Per chi ama queste montagne e vuole sentirle raccontare.
W.G. Sebald – “Gli anelli di Saturno. Un pellegrinaggio in Inghilterra”, Adelphi editore 1995
Gli anelli di Saturno è un libro straordinario, che ho letto recentemente, perché mosso dalla curiosità di scoprire i pensieri di questo eccezionale scrittore contemporaneo durante un suo vagabondaggio a piedi nel Suffolk, in luoghi a me cari e in cui andrò a camminare in tarda primavera assieme ad un gruppo della Compagnia dei Cammini.
In realtà, gli elementi osservati e gli incontri programmati o casuali avuti da Sebald durante la sua viandanza lo portano a scrivere di storie apparentemente distanti nello spazio e nel tempo: il visconte di Chateaubriand, i mercanti della seta, il panorama di Waterloo, l’uragano del 1987 in East Anglia, il tempio di Gerusalemme, l’imperatrice vedova Cixi, e ancora, e ancora… eppure tutto ciò è estremamente connesso alla sua esperienza, a lui (e a chissà chi prima e dopo di lui) e ai luoghi percorsi, come i cristalli di ghiaccio che ruotano nelle orbite anulari attorno all’equatore del sesto pianeta del nostro sistema solare.
Gli anelli di Saturno non può essere catalogato alla voce letteratura di viaggio, se pur di un viaggio si tratta, ma è di più: un libro perfetto per chi ama, come la chiama Luca Gianotti, l’Arte del Camminare.
David Nizi
Riccardo Carnovalini e Claudio Jaccarino – “AndarTan”, Ass. CamminAmare 2014
Il mese scorso abbiamo recensito il libro di Morelli sulla discesa a piedi del fiume Sangro, in Abruzzo, e ci auguravamo che tanti facessero lo stesso, camminando i nostri fiumi. Ecco che esce un altro libro dedicato a un cammino lungo il fiume Tanaro, in Piemonte. Riccardo Carnovalini e Claudio Jaccarino camminano insieme da alcuni anni, sono affiatati, uno cammina e fotografa, l’altro cammina e dipinge acquerelli. Il libro che hanno pubblicato, in tempi rapidissimi, ha un bel formato album allungato, e raccoglie le belle foto di Carnovalini, che sanno raccontare il poetico del fiume, ma anche il degrado del territorio, e raccoglie gli acquerelli di Jaccarino, artista di grande profondità interiore, sa mettere su carta l’anima dei luoghi e delle persone. L’iniziativa AndarTan si è svolta nel mese di novembre del 2014, in occasione del ventennale dell’alluvione del Tanaro. Nove giorni di cammino, spesso con tempo inclemente, ma questo non ha inibito la creatività dei nostri. Che hanno risalito il fiume, partendo dalla confluenza con il Po e arrivando alla sorgente, che non è una vera e propria sorgente, ma è l’unione di due torrenti sulle Alpi, il Tanarello e il Negrone. Insieme a Riccardo e a Claudio camminavano Anna, Gianluca e altri. Ogni sera un incontro pubblico dove arrivavano. Una bella iniziativa, sfogliando questo libro altri avranno voglia di seguire i fiumi italiani per toglierli da quella triste condizione di luoghi in disuso in cui versano ora, dei fiumi ultimamente ci ricordiamo solo in occasione delle alluvioni…
Il libro si ordina richiedendolo con un messaggio alla pagina facebook di AndarTan (prezzo 14 euro comprensivo delle spese postali e di busta colorata)
Davide Sapienza – “Camminando”, Lubrina 2014
Davide Sapienza è giornalista e scrittore, e una o due volte l’anno accompagna gruppi della Compagnia dei Cammini per far vivere alle persone le magie e le emozioni dei luoghi che ama, per esempio la Val d’Ultimo. Sapienza ama la natura, soprattutto la natura del Nord, del grande Nord. Sarà che è cresciuto leggendo Jack London, di cui è uno dei massimi esperti in Italia, grazie a lui stiamo riscoprendo un Jack London adulto e amante della wilderness. Ma soprattutto Sapienza ama la natura nella sua dimensione di selvaggità, in cui l’uomo è poco presente, l’uomo in questa natura ci deve entrare in punta di piedi. Il Canada, l’Alaska, l’Islanda, la Norvegia, la Scozia, ecco i luoghi del suo viaggiare, i luoghi dove osservare i piccoli cambiamenti che fanno dell’incontro con la natura una magia, e osservare i piccoli cambiamenti che avvengono dentro di noi. A questo servono i libri di Davide Sapienza: a guardarsi dentro nel proprio rapporto con la natura selvaggia.
La prima parte di questo libro dedicato al camminare è un diario senza tempo e senza luogo, alla ricerca del luogo di Davide, quel Rubha Hunish che da dieci anni ispira i suoi cammini. Questo luogo che forse è sull’isola di Skye, ma forse è ogni dove.
Leggiamo: “Camminare (ri)dona il respiro naturale; camminare è l’azione che consente di comprendere meglio l’oscurità e i suoi demoni; camminare è la mente che decide di non soccombere all’immensa vastità di tutto ciò che è sbagliato, scegliendo di seguire la traccia di tutto ciò che è giusto. Non è pensando da fermi che ci salveremo la pelle: ma permettendo al corpo di oscillare come un recettore nello spazio, potremo conoscere la pienezza del presente che poi lentamente svanisce e diventa vita”.
Ecco che la poesia si fa gesto morale. E la seconda parte del libro (Camminare è un canto alto) va in quella direzione, perché contiene testi scritti da Sapienza in tempi diversi, dedicati al camminare e ai suoi risvolti etico politici. Come l’articolo sull’Allemansrett, il diritto di ogni uomo a camminare sulla terra, senza limiti dati dalle proprietà private, diritto che fa di paesi come la Svezia e la Norvegia esempi di civiltà e democrazia. O l’articolo L’intelligenza dei piedi, o ancora Camminare. La rivoluzione in due passi in cui raccconta di Thoreau e Barry Lopez (altri due maestri di Sapienza), ma anche del camminare per la città distrutta dell’Aquila, e si sostiene il diritto del wild di essere ciò che è.
Paolo Morelli – “Racconto del fiume Sangro”, Quodlibet 2013
Conobbi Paolo Morelli tanti anni fa, quando lo invitai a Roma per un reading. Mi aveva molto colpito il suo libro Vademecum per perdersi in montagna (Nottetempo 2003), aforismi per un approccio alternativo all’andare in montagna classico e alpinistico, con inviti non solo a perdersi, ma anche a vivere la montagna intensamente, senza paura, sbeffeggiando gli alpinisti che salgono in montagna presto per andarsene il prima possibile, via dalla montagna di cui hanno paura. Pensieri sagaci, che colpirono il segno, controcorrente come salmoni.
Adesso Morelli torna a occuparsi di camminare, raccontando la sua esperienza, camminare per nove giorni di fianco al fiume Sangro, in Abruzzo, dalla sorgente al mare Adriatico. Osservando il fiume con la penna in mano, per descriverne i colori, gli odori, i movimenti, cogliendo i riccioli, il barocco del fiume. Morelli ama divagare, anzi ne fa un’arte: “Divagare è tendenza all’avventura, senza avventura non si arriva a conoscere quali sono le regole, i limiti da non superare”.
Ecco che il racconto va alla ricerca di piccoli incontri, osservazioni rasoterra, qualche volta anche esercizi di stile.
Ecco il momento in cui il fiume Sangro si butta in mare: “Quando sfocia sarà largo cinquanta metri, però nello slargo s’è formata una secca a destra e non ci si crederà ma lì si ferma, fa il giro e torna indietro. È alla fine una foce ghiaiosa, alla fine esce in tre metri, gratta su sabbia e ciottoli e crea delle onde contrarie che s’allontanano, acqua dolce nella salata. Gli resta solo un po’ di sfrenatezza che il mare accetta perché non c’è paragone. Visibilio della fine. Gli umani la maggior parte dei lavori li rovinano alla fine, da qui si vede che non è umano.”
Questo cammino lungo il fiume Sangro, dormendo in sacco a pelo (tra cui una notte in una casa abbandonata, con ancora il calendario del 1999 appeso alla parete, porta aperta, tutto immobile lungo il fiume che scorre), facendosi largo tra i rovi, contando gli affluenti, fa venir voglia di mettersi in cammino per progetti simili, discendendo fiumi, ognuno scelga il fiume vicino a casa, salga alle sorgenti e cominci a camminare!
Franco Michieli e Davide Sapienza – “La Via dei Silter”, Ersaf 2014
Due scrittori che amano il camminare e amano la natura e la montagna. Due autori che non a caso collaborano da anni con la Compagnia dei Cammini. Due amici. Insieme hanno scritto questa piccola guida escursionistica delle Montagne di Valgrigna, comprensorio montano tra i più selvaggi della Lombardia, situato tra le bresciane Valle Camonica e Val Trompia.
La Via dei Silter è un percorso a piedi tra valli, altopiani, terre alte e malghe. In cammino si incontrano una trentina di malghe, dove si producono formaggi di qualità, come il silter e il fatulì. I silter erano i locali dove venivano custoditi i formaggi prodotti durante l’estate. Il cammino ideato da Michieli e Sapienza è un viaggio in un mondo oltre, un mondo fatto di poesia, di esplorazione, di amore per la natura. Un mondo visto con gli occhi di un’aquila o di un camoscio.
Il libro contiene le descrizioni, immagini e cartine di un percorso ad anello di 70 chilometri tra boschi, malghe e praterie. Terre alte di grande valore naturalistico, culturale ed etnografico.
Il volume è per ora disponibile richiedendolo a ERSAF Lombardia, ufficio di Breno (breno@ersaf.lombardia.it). Un ampio estratto di La Via dei Silter. Camminare nello spazio, respirare nel tempo si trova QUI.
Zap Mangusta – “Le infradito di Buddha”, Ponte alle Grazie 2014
Zap Mangusta è un famoso conduttore radiofonico, scrittore, uomo eclettico, teatro, televisione, appassionato di filosofia. Ha scritto libri di successo dai titoli dissacranti: Le mutande di Kant, I calzini di Helgel, Il flipper di Popper, Platone e la legge del pallone. E anche questo nuovo Le infradito di Buddha non è da meno.
Questa volta va alla scoperta della filosofia e della religione dell’India, e lo fa con un viaggio a piedi, in Ladakh, un trekking che gli consente di entrare in contatto diretto con l’induismo, il buddhismo, il jainismo, e la filosofia indiana.
Ogni capitolo racconta una parte del viaggio e approfondisce un aspetto della filosofia orientale. Il racconto del trekking è interessante, i compagni di avventura sono un gruppo eterogeneo, persone diverse da tutto il mondo, ognuna con aspetti da scoprire, belli e meno belli. E in ogni capitolo si approfondisce un pensiero, da Patanjali a Buddha, da Nagarjuna a Mahavira.
C’è anche spazio per l’amore, l’apparizione di una bellissima giovane donna indiana, Palmo, di cui Zap si innamora, è l’occasione per parlare del Kama, passione e amore insieme, e del Kamasutra. Poi c’è l’esperienza di una salita alpinistica facile, a un seimila metri, il Kang Ya Tze, occasione per parlare di Sri Aurobindo, Krishnamurti e Osho. Filosofia e religione divulgate in modo intelligente.
La conclusione del libro sembra aver portato a Zap Mangusta una Illuminazione sul valore del camminare lentamente e del rallentare: nelle ultime due pagine riflette che ci sono due modi di fare un viaggio. Il primo modo vede il percorso come una separazione, qualcosa che ci divide dalla meta finale. Quindi il percorso va fatto in fretta, non è che un ostacolo, una seccatura. Poi c’è il secondo modo di affrontare un viaggio: quello in cui il percorso è un collegamento, una linea che unisce. L’itinerario diventa il motivo del viaggio. Non c’è alcun motivo di scalpitare, perché siamo già dentro la meta.
“Questa lentezza, questo incedere pacato, ha sempre fatto sorridere noi occidentali… ma quando ci si muove con troppa rapidità e con troppa disinvoltura, come facciamo noi, le cose sfilano veloci davanti ai nostri occhi e non si riesce a distinguere niente. Se invece il percorso è parte della meta, beh, allora bisogna compierlo, camminando lentamente”.
E conclude ormai votato alla filosofia della lentezza: “Dovremmo andare tutti più piano, perché se il nostro corpo va troppo veloce diventa più debole e altrettanto esile diventa la sua capacità di centratura e di forza interiore… Ci dimentichiamo troppo spesso che il corpo è l’interfaccia dello spirito e lo spirito ha bisogno di lentezza”. Bravo Zap Mangusta!
Annalisa Porporato, Franco Voglino – “Piccoli viaggiatori a piedi e in treno”, Terre di Mezzo 2014
Annalisa Porporato e Franco Voglino sono fotografi, di Torino, e da quando sono genitori si sono specializzati in guide per le famiglie. Hanno pubblicato una serie di libri “a piccoli passi” nelle varie regioni italiane dell’arco alpino, e l’anno scorso Il trekking del lupo, una guida a un bel trekking nelle alpi occidentali a misura di bambini, anche piccoli.
Ora pubblicano Piccoli viaggiatori a piedi e in treno, che contiene 30 escursioni brevi per divertirsi con la famiglia, partendo dal presupposto che treni, locomotive a vapore, funicolari, cremagliere affascinano tutta la famiglia, e nell’Italia settentrionale, Svizzera e Francia hanno trovato tante possibilità di gite di uno o due giorni in cui si abbina al mezzo su rotaia una camminata su misura di bambini, anche piccoli, alcune anche con passeggini.
Prendere un treno è educativo, è divertente, è ecologico, insomma, se fatto senza fretta, e abbinato al camminare, diventa un modo di viaggiare perfetto per famiglie.
Peccato che solo poche regioni italiane siano comprese, speriamo che esca un secondo volume dedicato al Nord Est e al Centro Sud!
Franco Michieli – “Huascaran 1993. Verso l’alto, verso l’altro”, Cai di Cedegolo 2013
Ultimamente non leggo quasi più libri sull’alpinismo. Sarà perché appartengo alla generazione cresciuta con le imprese di Messner, che come dicevo sul numero scorso ha di recente dichiarato fallito il suo alpinismo, secondo lui ora rimangono due ibridi di alpinismo, quello delle gare esasperate su percorsi segnati da bandierine, e quello delle spedizioni commerciali, anche loro su percorsi segnati da bandierine.
Ma questo libro di Franco Michieli non potevo non leggerlo. Conosco Franco e so quanti anni si è dedicato per scriverlo. E conosco la sua meticolosa precisione nel lavoro giornalistico, che qui non si smentisce. La storia di Battistino Bonali e della spedizione allo Huascaran del 1993 conclusasi tragicamente, è ricostruita da Michieli con un lavoro enorme di documentazione. Ha letto ogni riga dei diari privati, ha visto ogni foto, ogni video, ha parlato con i protagonisti. Supportato dal CAI di Cedegolo che aveva organizzato la spedizione e che pubblica il libro.
La prima cosa che mi colpisce è che questa storia sembra appartenere a un passato lontano. Ma si svolge tra il 1990 e il 1993. Se penso che la mia carriera alpinistica si è svolta prima, la mia ultima spedizione alpinistica fu nel 1990, come prima cosa mi sento vecchio. Ma poi capisco perché la storia sembra uscire dal lontano passato: perché i protagonisti appartengono a una comunità di gente semplice e buona. Sono preti che fanno i missionari in Perù, per l’Operazione Mato Grosso, con forte spirito di solidarietà, più che volontà di convertire; sono ragazzi che fanno 4-6 mesi come volontari per aiutare i poveri di quelle regioni; sono alpinisti che vengono dalla Val Camonica, ragazzi di montagna che rimangono a bocca aperta di fronte alle ingiustizie e sentono dentro uno forte spinta a porvi rimedio.
Battistino Bonali era in quel momento un alpinista di punta, aveva scalato l’Everest e aveva deciso di ripetere la via Casarotto sulla parete nord dell’Huascaran, una delle pareti alpinistiche più difficili, se pensiamo che dopo la morte di Bonali e del suo compagno di cordata Giandomenico Ducoli nessun altro alpinista ha mai più ritentato quella via.
Bonali e la sua compagna Alice, sempre al suo fianco, erano cattolici, arrivato sulla cima dell’Everest Battistino aveva aperto un piccolo striscione con la scritta “Grazie Dio”, al posto delle tradizionali bandiere nazionali che si usavano a quei tempi. La spedizione che organizzarono nel 1993 era una spedizione collettiva, ne faceva parte quasi una trentina di amici della Val Camonica, scelti da Bonali non solo per capacità alpinistiche ma anche per sensibilità umana, lo scopo era portare solidarietà e aiuti economici ai poveri, per la costruzione di un ospedale, il motto era “salire in alto per aiutare chi sta in basso”.
Il libro ricostruisce questa grande sinfonia, racconta come se fosse in diretta, il viaggio di ognuno dei protagonisti, le gioie, le emozioni, e la tragedia finale. Questo affresco dà una ricchezza umana mai vista nelle storie di alpinismo, perché non si racconta il gesto sportivo, ma l’anima.
Consiglio quindi questo libro sia agli appassionati di letteratura di alpinismo, sia a chi normalmente non frequenta queste letture. Tra l’altro il ricavato delle vendite di questo libro andrà a un progetto di solidarietà e formazione dei giovani nella Cordillera Blanca peruviana, l’apertura di un villaggio agricolo a 4100 metri, Quishuar, il villaggio del sogno. Un libro da non perdere! Per acquistare il libro direttamente dal CAI di Cedegolo info e modalità si trovano su questa pagina: www.facebook.com/huascaran1993.
Alberto Sciamplicotti – “La seduzione dell’avventura”, Ediciclo 2014
In una intervista che ha rilasciato in occasione dei suoi 70 anni, Reinhold Messner ha dichiarato che il suo stile di alpinismo ha fallito, sono rimaste solo due forme di pseudo-alpinismo, secondo lui, che nulla hanno a che vedere con il vero alpinismo, uno è il puro gesto sportivo l’altro è il turismo. Come dargli torno? Entrambi questi alpinismi, quello della salita più veloce e quello delle spedizioni commerciali, non riescono ad appassionarmi. Manca il gesto esplorativo, manca l’avventura. Alberto Sciamplicotti, alpinista romano, ha pubblicato con Ediciclo un libretto di pensieri sul concetto di avventura. Cos’è l’avventura? Ed è ancora possibile l’avventura? Secondo Sciamplicotti l’avventura è composta di due parti, uno esterna a noi e una interna a noi.
C’è avventura se il territorio è un territorio da esplorare, sconosciuto e misterioso. Mari, deserti, alte montagne. E c’è avventura se noi viviamo in modo avventuroso, con la capacità di spaesarci, perderci. Se il primo aspetto va a diminuire, perché c’è rimasto ben poco da esplorare in questo mondo, si può ancora vivere l’avventura se noi ci predisponiamo mentalmente all’avventura: lasciamo a casa mappe, gps, strumenti. E anche vicino a casa, abbandoniamo i sentieri segnati per scoprire un bosco o una valle fuori sentiero. Un po’ come propone da anni il nostro caro Franco Michieli.
Avventura, per Sciamplicotti, è affrontare una incognita, e uscire indenni dal confronto. Perché in caso contrario si parlerebbe di dis-avventura. Altra riflessione di Sciamplicotti è nel confronto tra avventura e gesto sportivo. Sono l’esatto contrario, lo sport è privo di incognite e si svolge in tempi ben definiti, spesso tempi brevi, certamente sempre più brevi di una vera avventura. In quest’ultima il tempo si dilata, non è quasi mai controllabile.
L’avventura però deve essere fattibile: essere sempre sconfitti non ci fa essere veri avventurosi.
Ecco che l’avventura mentale è possibile anche dietro casa, con risultati quasi altrettanto forti della traversata del Polo Nord. Nella vita qualche volta è utile e necessario osare l’avventura, questo è il mio pensiero e sicuramente la pensa come me anche Alberto Sciamplicotti.
Robert Macfarlane – “Le antiche vie. Un elogio del camminare”, Einaudi 2013
Se ancora non conoscete Robert Macfarlane, questa è l’occasione giusta. Camminatore, critico letterario, scrive per il Guardian e lavora per la BBC, insegna all’Università di Cambridge, e soprattutto scrive in cammino. Dopo Luoghi Selvaggi, un altro libro bellissimo che abbiamo già recensito qui, ecco The Old Ways. Journey on Foot tradotto in Le antiche vie. Un elogio del camminare. Come scrivevo nella recensione del libro precedente, il valore della scrittura di Macfarlane è nella sua capacità di passare dal piccolo al grande, dal vicino al lontano, con grande sapienza. Le antiche vie racconta dei cammini che Macfarlane ha fatto, molti in Gran Bretagna, altri in Palestina, in Himalaya, in Spagna. Di ogni cammino Macfarlane racconta i dettagli che colpiscono i suoi sensi, in diretta: un sasso, il colore di una roccia, una traccia di animale, la vegetazione intorno. Ma il racconto è molto di più, è un incontro con storie del passato o del presente. Può essere l’incontro casuale con un personaggio particolare, può essere la ricostruzione della vita di uno degli autori che hanno ispirato a Macfarlane l’amore per il camminare, tra tutti il poeta inglese Edward Thomas, o il pittore Eric Ravilious (di cui vedete un quadro in apertura). Ecco che Macfarlane costruisce delle “biogeografie”. Quindi si parte dalla materia (i capitoli si intitolano come la materia dominante di quel territorio: Gesso, Limo, Granito, Calcare, Ghiaccio, Selce, Torba), si passa dalle specie viventi per finire all’uomo, alla sua poesia e alla sua arte.
Un capitolo che colpisce i camminatori è quello intitolato Limo, in cui si racconta della Broomway, un cammino in Essex molto pericoloso, e come dice Macfarlane “il cammino meno terreno su cui mi sia mai capitato di posare piede”. Nel corso dei secoli sono morte almeno un centinaio di persone, in questo cammino in mezzo al mare. Si, avete capito bene, in Inghilterra ci sono due sentieri che camminano in mare aperto, quando la marea è bassa, ma attenzione a quando la marea si alza! Se scrivete The Broomway su Google Maps potete rendervi conto di cosa parliamo. Oltre all’alta marea, il pericolo è la nebbia, che porta fuori strada, su un terreno così uniforme, su sabbia lucente, si rischia di incamminarsi verso il mare aperto, appunto. La Broomway è un percorso che esiste dal 1419, e Macfarlane la percorre con un amico, avanti e indietro, guarda caso in una giornata di nebbia. Ma il nostro autore ha studiato la storia, le leggende, ha parlato con Patrick un grande esperto di questa via, e quindi va tutto bene, è uno di quei cammini surreali e magici che ogni camminatore vorrebbe percorrere.
Le antiche vie descritte da Robert Macfarlane sono tante, e ognuna – dopo aver letto il suo libro – ci chiama per essere percorsa, perché, come ha scritto qualcuno, dopo aver letto Macfarlane sarà impossibile fare di nuovo una passeggiata insignificante.
Eduardo Grottanelli de’ Santi – “Guida alle microvacanze in Italia”, Altreconomia 2014
Bel libretto quello appena pubblicato da Altreconomia. In questo momento in cui si deve stringere la cinghia, una guida alle microvancanze può essere davvero utile. Se poi la guida ha il marchio Altreconomia, e raccoglie 100 proposte di piccoli viaggi e soggiorni di turismo responsabile, ecologico, consapevole, in cammino e lento, gli ingredienti ci sono tutti! Ovviamente la Compagnia dei Cammini è presente, con alcune proposte in cammino. Ed è presente il Casale Le Crete con la proposta del trekking con gli asinelli in autonomia in Abruzzo. Ma le proposte sono tante, un centinaio appunto, ed è piacevole essere in compagnia con tanti compagni di viaggio, tante realtà e associazioni con le quali condividiamo intenti ed ideali. Per fare qualche esempio: Viaggi e Miraggi, Naturaliter, il Volo della rondine, Movimento lento, Domus Amigas, il Cammino possibile e altri. Il libro si apre con un articolo di Stefano Landi sulle micro vacanze, un fenomeno che si sta imponendo, sempre più. Vacanze brevi, ma intense.
Le proposte sono divise per temi di viaggi possibili: viaggiare per conoscere, viaggi gastronomici, viaggi in natura, ospiti di comunità, cammini, cicloturismo, solidarietà, legalità, benessere, spiritualità, famiglie, accessibilità.
Tra le proposte, scelte sfogliando il libro a caso: una micro vacanza nel Mugello, nel centro Recupero Rapaci di Vicchio; un soggiorno di vita rurale in alta Val Brembana, soggiornando in alpeggio, e raccogliendo erbe spontanee; oppure in Abruzzo con viaggi e Miraggi ad assaggiare i sapori tipici di questa regione, lo zafferano, il grano solina, l’agio rosso, il pecorino canestrato, le lenticchie di Santo Stefano e il vino biologico in una manifestazione a Navelli; un fine settimana a piedi, sui sentieri partigiani delle colline reggiane, sulle orme di tante storie della resistenza; o, sempre in Emilia, vicino a Berceto, qualche giorno in un Monastero Zen a meditare e fare pratiche di benessere; una vacanza all’insegna dei cinque sensi a Borgo Cerquelle, vicino a Pontelandolfo (Benevento), senza dimenticare il Cammino dei Briganti tra Abruzzo e Lazio, percorribile con o senza asinelli… ce n’è per tutti gusti, qualcosa di sfizioso lo trovate di sicuro!
Jack London – “I diari dell’apocalisse”, Piano B 2014
Davide Sapienza continua il suo prezioso lavoro di traduzione e divulgazione di Jack London, consentendo anche a noi italiani di conoscere e amare questo prezioso autore. Questa volta Sapienza ha raccolto alcuni testi apparentemente minori, ma di grande interesse. Nove racconti, quasi tutti ambientati nel futuro, e con forte impronta sociale e politica. Jack London era socialista, e impegnato a combattere per un mondo migliore. Fantapolitica, dunque, con intuizioni anche molto forti, aveva previsto la supremazia economica della Cina, il valore dell’energia solare.
I racconti scorrono in una scrittura da maestro: da La forza dei forti, che ci racconta un mondo di uomini primitivi che ambiscono a progredire in un mondo di pace, fratellanza e giustizia; alla metafora di Quando il mondo era giovane, storia di un raffinato uomo di affari che dentro di sé aveva un uomo brutale e primitivo, doppia personalità come in fondo ogni essere umano, tra progresso e violenza primitiva; I favoriti di Mida e Golia sono due racconti con una base comune, qualcuno che decide di cambiare il mondo e le sue ingiustizie usando l’arma del ricatto in modo terribile ma gentile, e nel caso di Golia un uomo solo, illuminato da smania di giustizia sociale, prende il potere del mondo, grazie a un’arma invincibile, per costruire una società più giusta, una “organizzazione sociale razionale”, come la definisce London, che ci vuole dimostrare che un altro mondo è possibile, e che una società più giusta e razionale sarebbe un beneficio per tutti, ricchi e poveri; L’invasione senza pari, scritto nel 1910, ambientato dal 1976 in avanti, ci racconta del conflitto tra Cina e resto del mondo; Il sogno di Debs è il racconto di una rivoluzione, quella che un sindacato di lavoratori americani riesce a mettere in atto negli Stati Uniti proclamando uno sciopero generale assoluto, in cui un intero paese si paralizza per mesi, e anche in questo caso, come in altro racconti precedenti, la visuale è sempre quella delle classi ricche, il protagonista è un ricco che perde tutto nei mesi dello sciopero generale, osserva con orrore e distacco, ascolta un altro ricco condannare la stupida avidità della sua classe, anche questo racconto è una bella metafora della nostra società.
I diari dell’apocalisse anticipano la scrittura di fantascienza, e London amava immaginare il futuro della terra e degli uomini, la razza animale più potente e terribile.
Grazie dunque a Davide Sapienza per questa scelta di testi, e a Piano B per aver avuto il coraggio di pubblicarli.